Troisi, l’amore e quella Raula di Pescara

Una riflessione sull'arte del grande artista napoletano partendo da uno dei suoi film più belli: "Pensavo fosse amore invece era un calesse"

Troisi, l’amore e quella Raula di Pescara

TROISI E L'AMORE. Che Massimo Troisi fosse un grande, non siamo certi noi a scoprirlo. Ieri sera, però, l’aver rivisto in tv (seppur a un orario molto tardo) il suo ultimo capolavoro da regista, che probabilmente rappresenta anche il suo miglior film, ci ha portato a riflettere, una volta di più, sul valore dell’arte di questo genio napoletano.

Il lungometraggio in questione è “Pensavo fosse amore invece era un calesse”, uscito a Natale del 1991, che tre anni dopo sarà seguito dall’ultima prova cinematografica in assoluto di Troisi: “Il postino”, dove recita però sotto la direzione di Michael Radford. Ebbene, innanzitutto una nota di colore: in “Pensavo fosse amore…”, ambientato a Napoli, è presente anche un po’ d’Abruzzo, visto che a un certo punto Troisi nomina una famigerata Raula che vivrebbe a Pescara.

Per il resto, l’immensità di questa pellicola sta nel fatto che Massimo scrive e confeziona una riflessione sull’amore che fa venire i brividi, soprattutto a chi ha vissuto, almeno una volta nella vita, le situazioni che vengono narrate. Troisi, infatti, interpreta Tommaso, che è ormai giunto al capolinea della sua storia d’amore con Cecilia (una stupenda e sensualissima Francesca Neri). Un bel giorno, poco prima del matrimonio, quest’ultima lo lascia, facendolo precipitare in una spirale di amarezza e sconcerto che solo uno come Massimo poteva riuscire a rendere sullo schermo in maniera malinconica e poetica, più che drammatica “tout court”.

Si pensi ad esempio alla frase “Voglio solo soffrire bene, se voi state qui mi distraete, non riesco a concentrarmi”: in questa battuta è concentrato tutto quel gusto autolesionista di crogiolarsi nel dolore che caratterizza l’innamorato appena mollato dalla sua bella. Un innamorato che non sa – ma, specialmente, che non vuole – rassegnarsi. Anche il modo in cui gli amici e i conoscenti trattano Tommaso-Troisi, o reagiscono ai suoi comportamenti, richiama alla mente quel senso di inadeguatezza perenne che si prova alla fine di un amore, complice il fatto che non si riesce a dare una spiegazione razionale a ciò che sta succedendo.

“Perché siete tutti così sinceri con me? Che cosa vi ho fatto di male, io?”, chiede Massimo ai ragazzi che gli riferiscono che Cecilia sta già con un altro. “Noi ti diciamo la verità per il bene tuo”, è la loro risposta, seguita da una frase in puro stile Troisi che vale da sé tutto il film: “Ma chi vi ha chiesto niente, queste non sono cose che si dicono in faccia. Queste sono cose che vanno dette alle spalle dell’interessato”. Alla fine, dopo varie peripezie, Tommaso e Cecilia tornano insieme, ma adesso è lui che non vuole più andare all'altare, in quanto “un uomo e una donna sono le persone meno adatte a sposarsi tra di loro, troppo diversi”.

E su questa “sentenza” arrivano i titoli di coda, che lasciano spazio a un finale aperto, visto che i due fidanzati non sono assolutamente prossimi a una nuova rottura, ma anzi sembrano pronti a ricominciare da capo: infatti, con indosso ancora gli abiti della cerimonia nuziale, mai celebrata, si mettono d’accordo per rivedersi la sera. A corollario di tutta la vicenda, ci sono le musiche dell’indimenticato Pino Daniele. Dobbiamo aggiungere altro per ribadire che siamo di fronte a un’opera di primissimo livello?

Massimo Giuliano