Rabbia rom, colpa mediatica?

Presidente Fondazione Romanì accusa la stampa: «Indignato per come è stata gestita rissa con ultras»

Rabbia rom, colpa mediatica?

TENSIONE ETNICA A PESCARA. ROMANI' ACCUSA LA STAMPA. Che il clima intorno alla comunità rom che vive a Pescara, circa 4mila persone, fosse poco sereno era piuttosto. La già difficile, decennale, convivenza aveva toccato il minimo storico lo scorso primo maggio, quando un commando giustiziò barbaramente un ragazzo di 24 anni, Domenico Rigante, papà di una bimba di pochi mesi. Da allora niente è stato come prima e si può dire che sia piombata sull'intera comunità rom (innocenti compresi) una sorta di "fatwa", cioè d'insofferenza non più taciuta verso i soprusi e le illegalità commesse dai membri di alcuni clan notissimi in città ed alle forze dell'ordine. L'apogeo lo si era raggiunto durante il "Corteo Anti Rom", che aveva fatto discutere l'opinione pubblica nazionale, come pure alcuni manifesti del Popolo delle Libertà che sostanzialmente sottolineavano le azioni intraprese dall'amministrazione comunale verso la comunità. L'ennesimo capitolo di una vicenda, che temiamo non finisca qui, si è consumato ieri con la rissa sfiorata tra i parenti dei cinque imputati, accusati di omicidio, e gli amici della vittima appartenenti al gruppo del Pescara Rangers. Sono volate parole grosse e si è giunti quasi alle mani se non ci fosse stato il pronto intervento della polizia. Addirittura sono stati sequestrati dei bastoni che erano stati portati in tribunale, non si sa bene a quale scopo. Ma quello che ha colpito di più è stato l'atteggiamento di assoluto disprezzo mostrato verso dei genitori che hanno perso un figlio in giovane età. Sulla vicenda è intervenuto, ancora una volta, il presidente della Fondazione Romanì Nazzareno Guarnieri. «Per l'ennesima volta - ha detto - a causa di una famiglia che sbaglia, i media generalizzano e strumentalizzano, mettendo in cattiva luce l'intera' comunità rom, ponendo un ostacolo alla nostra volonta' di isolamento di chi delinque». Parole condivisibili e non come quelle pronunciate, al termine dell'udienza, dall'avvocato Carlo Taormina, difensore di Massimo Ciarelli, che invece ha detto che «in Italia siamo tutti un pò assassini» e che però non aiutano a rasserenare il clima in vista della prossima udienza.  

Redazione Indepenent