Una colazione piacevole col coach Galli della Proger Chieti

Stefano Tortoreto intervista al Bar del Mare l'allenatore delle Furie Rosse. Che stagione sarà?

Una colazione piacevole col coach Galli della Proger Chieti

UNA COLAZIONE PIACEVOLE COL COACH MASSIMO GALLI.  Una piacevolissima chiacchierata durante la colazione al Bar Del Mare di Francavilla condivisa con Massimo Galli, coach della Proger Chieti, ha toccato i temi del basket attuale, teatino e nazionale, senza trascurare l’aspetto fondamentale della ‘ripartenza’ del progetto nazionale: il settore giovanile. Tra racconti ed analisi di entità socio-sportive, la mattinata è trascorsa velocemente ‘in viaggio’ tra le varie realtà cestistiche del pianeta.

Coach, complimenti per la vittoria di ieri contro Ferrara. Nonostante siamo solamente alla terza di campionato, si è vista una squadra con grossa personalità, messa bene atleticamente con un ottimo giro-palla, idee chiare nelle soluzioni e con una difesa arcigna. Quello che sinora sembra ancora mancare sono i punti dalla panchina…
Le regole attuali obbligano le squadre ad avere almeno tre under 22 in squadra e noi ne abbiamo quattro. Questo influisce in maniera determinante sul lavoro di un team, in quanto ve ne sono alcuni che possono permettersi di averne meno o addirittura nessuno pagando la luxury tax e puntare su un campionato di alto livello. Dal canto mio ho sempre dato molto spazio ai giovani; se analizziamo la partita di ieri, anche Ferrara, come noi molto rinnovata rispetto allo scorso anno, ne aveva diversi di giovani, ma ne ha messo in campo uno solo e per pochi minuti. Diciamo che la nostra panchina ha ottime prospettive, che conto verranno fuori con un po’ di partite in più nelle gambe e con il dovuto lavoro settimanale. La nostra è una squadra rinnovata per 8/10 ed ha bisogno di lavorare ancora tanto per esprimere tutto il suo potenziale. Credo che i veri valori cominceranno ad emergere intorno alla decima giornata, in riferimento anche al fatto che, con la fusione della A Silver con la A Gold, ci sono ancora squadre che non si conoscono, che non si sono mai affrontate.
Cosa si aspetta in generale da questa fusione delle due leghe?
Credo che ci siano alcune realtà dello scorso campionato di Lega A Silver che siano molto avvantaggiate rispetto a tutte le altre, sia come struttura che come livello dei roster. L’unica squadra proveniente dalla Lega A Silver a poter competere, almeno inizialmente, è Treviso, anche se non è una sorpresa in quanto, oltre alla grande tradizione che possiede, era già fortissima lo scorso anno e si è rinforzata ulteriormente.
Dopo uno scetticismo iniziale dello scorso anno, dovuto più che altro ad un fatto di scarsa conoscenza della persona e del professionista, la città tutta ha imparato ad apprezzare il lavoro di coach Galli che, indubbiamente, è stato un lavoro eccellente, tanto con i più giovani (vedi i risultati ottenuti con Monaldi e Paesano nella Nazionale sperimentale) quanto con tutta la squadra che si è compattata alla perfezione nel corso del campionato. Quest’anno ha in programma qualcosa di particolare per i giovani della Proger?
Vorrei tornare indietro di qualche anno con il campionato di Lega 2 che rappresentava, oltre che la vetrina, anche la piattaforma che sviluppava i giovani e i giocatori stranieri, i quali venivano successivamente lanciati in A1 o nei campionati stranieri. Oggi questa cosa si è un po’ persa e, per come io intendo il movimento del basket in Italia, la Lega 2 deve necessariamente essere un campionato formativo, soprattutto per quelle squadre che non hanno quella struttura e quelle risorse che gli consentirebbero di fare il salto di qualità. Questo è quello che io mi auguro facciano parecchie società per il bene del basket italiano. Dal canto nostro siamo riusciti a battere i vari competitors per assicurarci Vedovato, centro titolare della Nazionale under 20, un giovane di prospettive altissime le cui responsabilità sono notevolmente aumentate rispetto allo scorso anno quando era a Treviso. Non ha ancora preso coscienza di questo, deve ancora ambientarsi per bene a Chieti; bisognerà lavorarci tanto, lui dovrà metterci tanto del suo. Così come anche Matteo Piccoli, proveniente da Varese, che ha un grande istinto del gioco ma deve crescere tanto a livello tecnico e mentale, eliminando soprattutto i tanti errori di gioco. C’è Andrea Sipala, un’ala che giocava in serie C a Bolzano e sta iniziando a capire com’è il basket ad alto livello e Damiano Marchetti, giovane proveniente dal vivaio teatino, segno che anche in città inizia a muoversi qualcosa nel settore giovanile. E’ chiaro che tutti avranno bisogno del tempo necessario e di un duro e costante lavoro, affinché si realizzino tutte le aspettative.
C’è qualche squadra in particolare che, a suo avviso, segue questo trend?
A mio avviso l’esempio tipico in questa categoria è rappresentato da Treviglio, piccola cittadina del bergamasco che lavora moltissimo nel settore giovanile facendo crescere i propri giocatori che, puntualmente, arrivano poi a giocare in prima squadra. Questo dovrebbe essere un punto d’arrivo importante in tutte le città di queste dimensioni in quanto, pensare di fare il successivo salto di categoria, comporterebbe dei notevoli investimenti non solo economici ma anche strutturali. E’ palese che, a parità di categoria, una città come Chieti dovrebbe investire cinque volte quello che ha a disposizione una città come Verona, che peraltro lo ha già fatto per questo campionato.
Da come esprime i suoi concetti, si evince che ha un background cestistico molto ricco. Vuole provare brevemente a raccontarlo ai lettori di Abruzzo Independent?
Volentieri! Sono nato nel 1960 e cresciuto cestisticamente a Varese, arrivando a giocare sino alla serie B. Dal 1995 ho iniziato, sempre nella stessa città, ad allenare il settore giovanile per i primi quattro anni. Nella stagione dello scudetto vinto, il 1998/99, sono stato assistente di coach Carlo Recalcati, diventando l’anno successivo head coach e vincendo la Supercoppa Italiana. Quell’anno però non andò benissimo, probabilmente perché ero ancora troppo inesperto per guidare da solo una squadra in campionato ed in Eurolega. Son tornato allora ad allenare i giovani, vincendo nel 2002 uno scudetto juniores con il Campus Varese. Dal 2004 sono approdato a Rimini, dapprima con i giovani poi come capo allenatore; un anno a Biella come assistente di Luca Bechi, quello dopo a Bisceglie in serie A dilettanti, fino ad arrivare a Forlì come vice di Dell’Agnello e, prima del fallimento della stessa, come head coach. Il resto è storia nostrana…
E’ d’obbligo a questo punto chiederle un parere sulla situazione del basket in Italia. Più precisamente, quanto per lei conta il campionato italiano per la crescita totale di un giocatore e quanto quello NBA dove, molto spesso, si tende ad emulare le gesta dei giocatori americani.
In passato, dopo l’NBA, la nostra pallacanestro era la prima scelta per i giocatori americani, che venivano a giocare in Italia non solo per questioni economiche ma anche per la nostra storia, per il nostro prestigio. Negli ultimi vent’anni la situazione è molto cambiata: le squadre spagnole, quelle greche ed i teams dell’Est europeo e della Turchia, con investimenti nelle squadre come anche negli impianti di gioco, cosa che in Italia non è stata fatta, hanno saputo attrarre maggiormente i giocatori stranieri. Inoltre la nostra nazione, causa la legge Bosman, ha ‘dimenticato’ di curare i settori giovanili. Tutto ciò adesso, nonostante l’Italia sia in fase di ricostruzione a livello cestistico, lo si paga con i dovuti interessi, vedi nelle coppe europee o con regole che in un campionato di A1, ma anche in A2, sono abbastanza discutibili, soprattutto a livello economico. Le nostre squadre infatti non hanno più risorse, ed in alcuni casi neanche voglia, di investire in maniera adeguata per il bene di questo sport in generale. Nell’altro versante dell’Oceano, l’allargamento dell’NBA ha portato le squadre a cercare giocatori che provenissero non necessariamente dal territorio statunitense. In questa stagione credo ci siano una quarantina o poco più giocatori extra americani nel loro campionato e ciò, anche per gli italiani, credo sia un bene immenso. In generale negli ultimi anni la situazione nel nostro campionato è molto migliorata anche se, leggevo recentemente, in questa stagione il numero dei nostri giocatori nel massimo campionato è diminuito notevolmente.
Colpa dei nostri manager?
Assolutamente sì! Hanno una scarsa lungimiranza, è una classe dirigente troppo stantia che peraltro non da spazio alle idee dei giovani e, soprattutto, le società, per risparmiare sull’organizzazione, hanno dimenticato cosa significa avere un manager che sappia programmare la parte sportiva ed un altro che sappia pensare alla questione marketing in maniera strutturale. Non è un caso che, nella nostra Lega 2, molti staff non hanno le proprie figure dirigenziali, dal team manager al preparatore atletico, a tempo pieno. Tutto ciò determina chiaramente uno scadimento generale del prodotto.
Ciò ha ripercussioni anche sulla Nazionale? In molti hanno contestato, negli ultimi Campionati Europei dello scorso settembre, la presenza delle nostre stelle presenti nel campionato NBA. A detta dei più il nostro team, per come era stato impostato e compattato da coach Pianigiani nella precedente avventura continentale, avrebbe potuto raggiungere un risultato migliore.
In un ambito culturale come il nostro non è facile mettere insieme tanti giocatori con personalità da leader, come i nostri NBA. Credo che il lavoro fatto da Pianigiani e dal suo staff (non dimentico mai che i risultati si raggiungono sempre lavorando tutti insieme) sia stato di grande qualità. C’è stata probabilmente un pizzico d’inesperienza nelle manifestazioni di gruppo ad alto livello, che ha portato la sfortunata sconfitta contro la Lituania, che peraltro è arrivata in finale. E’ per me una buona base su cui puntare per il futuro. Chiaramente il risultato conseguito ha il potere di determinare se hai lavorato bene o meno ed il torneo preolimpico del prossimo anno ci dirà se il lavoro di Pianigiani sarà andato a buon fine. Io credo che arriveranno alle Olimpiadi, magari anche con la crescita quest’anno dei giocatori di Reggio Emilia.
Reggio Emilia introduce un discorso di nuove realtà del basket italiano. Come vede tali novità, in riferimento anche al lavoro che stanno svolgendo Trento, Brindisi, Pistoia?
La squadra emiliana parte innanzi tutto da un grande budget che gli permette di fare delle scelte su giocatori di stampo italiano ed europeo. Tante altre squadre sono impossibilitate a fare determinate scelte in quanto i costi sono per loro proibitivi. Mi spiego meglio: un giocatore americano che viene per la prima volta in Europa ha un costo molto minore di un atleta europeo di valore medio. Mi piace molto la scelta di giocatori italiani in una squadra italiana; resta da vedere se, una volta arrivata in Eurolega, Reggio potrà permettersi di perseverare in queste scelte. Al momento resta una delle quattro squadre, dopo Milano ed insieme con Sassari e Venezia, a poter gestire delle somme di denaro importanti a questi livelli. Trento è una squadra che è cresciuta molto negli ultimi anni, considerando anche il fatto che qualche anno fa, retrocessa in B2, non cambiò allenatore, cosa a mio avviso fondamentale che denota la dovuta lungimiranza da parte dello staff dirigenziale. Attualmente le aspettative sulla squadra trentina sono cresciute e tutti si aspettano delle conferme; potrebbe avere qualche problema nel binomio Campionato-Eurocup, in quanto giocare tre volte in una settimana è ben diverso dal giocare due sole partite, viaggiare non è come potersi allenare e l’Eurocup potrebbe portar via un po’ di energia ma a mio avviso questa sarà la stagione giusta per confermarsi come squadra di alto livello. Brindisi e Pistoia sono due squadre allenate benissimo e, in questi anni, stanno avendo anch’esse le proprie conferme, sono molto ben assortite e non rimarrei sorpreso se una delle due arrivasse tra le prime quattro.
Coach, quanto ha fatto bene lo scudetto di Sassari al basket italiano sotto il profilo tecnico col gran lavoro di Meo Sacchetti, dell’entusiasmo e delle scelte straniere?
Intanto premetto che lo scudetto di Sassari non ha avuto la stessa risonanza che avrebbe avuto una squadra del Continente e questo è molto grave, in quanto è stata una bella sorpresa per tutto il movimento del basket italiano. Sassari ha un modo di fare basket e, in particolare, un modo di fare azienda molto diverso dal solito, con il suo presidente che lavora a tempo pieno per recuperare risorse e con Meo Sacchetti che ha fatto un lavoro straordinario sia strutturale, nel riuscire a compattare tanti giocatori provenienti da ogni parte del mondo sia programmatico, nel far crescere nei tempi giusti la squadra e portarla al top della condizione fino ai play off. Non dimentichiamo però che Reggio Emilia è arrivata ad un canestro dallo scudetto, quindi direi che entrambe le squadre, con le loro differenti gestioni, vanno comunque messe sullo stesso piano. Ciò che sicuramente sarebbe stato differente, se avesse vinto Reggio, è la risonanza…quella sì!!!
Com’é coach Galli nel suo lavoro? Prima mi accennava al fatto che ama molto il lavoro di gruppo.
Lo confermo, sono molto meticoloso e perfezionista, esigo figure altamente professionali al mio fianco e, per questo, amo il lavoro di gruppo che, a mio avviso, è il segreto del successo. Mi trovo molto bene con i miei collaboratori alla Proger. Pino Di Paolo non è una novità per me, è stato mio assistente nelle Nazionali giovanili ed è molto professionale, così come tutto il resto dello staff che compone la squadra.
Chiudiamo la nostra colazione con un discorso sul futuro dei giovani cestisti.
Negli ultimi anni è stato fatto un lavoro programmatico di grande impegno e qualità da coach Andrea Capobianco, il quale ha monitorato tutte le regioni ed i risultati, pur ancora altalenanti, nei campionati giovanili europei confermano tale ricerca. E’ chiaro che, se nei decenni passati ci si allenava due o tre volte a settimana ed il resto dei giorni si andava all’oratorio (noi a Chieti avevamo il campo della Villa Comunale ndr.) per completare la formazione personale e la propria espressività, oggi i ragazzi si allenano anche due volte al giorno ed hanno anch’essi bisogno di uno staff professionale a tempo pieno che gli permetta di formarsi e di crescere. Potrà poi anche emergere qualche fuoriclasse ma bisogna tener presente che i giocatori italiani che militano in A1 provengono tutti da settori giovanili di altissima qualità. Il basket italiano deve continuare in questa direzione e, se possibile, crescere di molto su questa strada.
Nel frattempo arriva il pasticcino col caffè servitoci da Marco, il titolare del Bar Del Mare…
Buona colazione e buona giornata a tutti i lettori di Abruzzo Independent.

Stefano Tortoreto