Siamo in pieno ciclone

Avevano ragione i "profeti di sventure": l'Italia è a un passo dal baratro. A rischio pensioni e stipendi statali

Siamo in pieno ciclone

QUANDO BERLUSCONI NEGAVA LA CRISI E DICEVA CHE I RISTORANTI ERANO PIENI. Sono passati poco più di 2 anni da quando Berlusconi negava la crisi e diceva che «i ristoranti sono pieni e che per gli aerei si riesce a fatica a prenotare un posto». E quelli che avvertivano del ciclone in arrivo passavano per dei menagramo. E' pur vero che a febbraio il tasso d'inflazione si è abbassato ai livelli del 2010 e che il debito pubblico è diminuito di 5,2 miliardi arrestandosi a poco sopra i 2000 miliardi (2017,6). E' vero anche che le entrate tributarie rispetto al febbraio del 2012 sono aumentate di 0,6
miliardi. Ma qui finiscono le note positive. Tutti gli altri indicatori ci dicono che i "profeti di sventura" avevano ragione. Infatti siamo nell'occhio del ciclone. A fronte delle entrate tributarie arrivate a 27 miliardi, la spesa della pubblica amministrazione è salita a 40,4 miliardi di euro, con uno squilibrio di 13,4 miliardi. A marzo è esplosa la cassa integrazione ordinaria, straordinaria e in deroga, con
quasi 100 milioni di ore registrate e con un aumento del 22,44% rispetto al febbraio scorso. Sono quasi 520.000 i lavoratori in cassa integrazione dal gennaio 2013, che hanno subito una perdita di reddito di 1.900 Euro a testa.

A RISCHIO LE PENSIONI DEGLI STATALI : DIMINUISCONO LE ENTRATE DELL'INPDAP. Secondo i sindacati nel 2013 otre il 10% dei lavoratori rischia la cassa integrazione, mentre i disoccupati sono arrivati alla cifra record di 3 milioni segna un record. E non finisce qui perché, la diminuzione della forza lavoro comporta meno entrate tributarie e meno entrate contributive nelle casse dell' INPS e delle altre previdenze. L'INPDAP, per esempio, che alla fine del 2011 presentava già un bilancio in
forte passivo di oltre 15 miliardi, nel bilancio preventivo del 2013 prevede un passivo spaventoso di 23,7 miliardi, che mette a rischio il pagamento delle pensione dei dipendenti pubblici.

UNA FABBRICA CHE CHIUDE E' COME UN LUTTO IN FAMIGLIA. Quello che allarma più ancora dei dati terribili sulla perdità di competitività, sulle aziende che chiudono e sul competitività che è diminuito di un punto percentuale in questi ultimi 50 giorni, è il tono crudo del discorso del presidente Quinzi del suo vice al convegno sulla piccola industria, che senza mezzi termini hanno accusato la politica di essere insensibile ai drammatici problemi che affliggono il Paese. «Da settimane invochiamo un
governo". "Non un governo qualunque, così tanto per assolversi la coscienza. Un governo di qualità, di alto profilo, di capacità politica elevata, che sappia interpretare il momento drammatico del Paese», ha dichiarato Quinzi ad un'assemblea ammutolita di imprenditori.

UNA FABBRICA CHE CHIUDE E' COME UN LUTTO IN FAMIGLIA. Secondo la Confindustria 41 imprese chiudono ogni giorno, con una perdita della produzione industriale del 25% dal 2007 ad oggi. Sempre secondo i datori di lavoro, dal 1997 sono scomparse 70.000 aziende manifatturiere. Una fabbrica che chiude «è come un lutto in famiglia», ha affermato il vice presidente di Confindustria Vincenzo Boccia che «ha chiesto un minuto di silenzio per le imprese che hanno chiuso i battenti,
a quanti non ce l'hanno fatta e a chi continua a resistere».

IL PATTO TRA PRODUTTORI E' LA PROPOSTA DI CONFINDUSTRIA. La Confindustria ha chiesto alle parti sociali «di stringere un patto dei produttori». «Un patto tra tutti gli attori della fabbrica per ricostruire il Paese». «Lavoriamo insieme per salvare le fabbriche e il Paese». «Cosa doveva accadere ancora e di più perché si comprenda la gravità della emergenza economica ed i rischi, concreti, che stiamo correndo?». Sono state queste le accorate parole del Presidente e del suo vice con le quali hanno teso la mano ai sindacati. Bonanni della Cisl, intervenendo all'assemblea, ha raccolto l'invito di Confindustria, dichiarando che «Il patto dei produttori si può fare sulla base di un'indicazione forte che dobbiamo dare e deve essere recepita dalla politica». Anche la Camuzzi,
sia pure con toni più sfumati ha raccolto l'invito di Quinzi. Ha però invitato le organizzazioni datoriali ad abbandonare l'antagonismo esasperato alla Marchionne verso la Cgil , affermando che «Occorre chiudere la lunga stagione degli strappi e delle divisioni, ricostruendo le regole delle relazioni
industriali». Ha inoltre aggiunto: «le grandi priorità, sono fisco e lavoro. Lavoratori e imprese non possono essere grandi pagatori. Ci vuole una rete che ci impedisca di precipitare».

Clemente Manzo