Cialente rassegna la fascia

Il sindaco di L'Aquila denuncia la mancanza di fondi per la ricostruzione: «come aquilano mi sento umiliato»

Cialente rassegna la fascia

LA LETTERA DEL SINDACO CHE LASCIA LA FASCIA TRICOLORE. Dopo alcune settimane vissute con umori alterni - dalla soddisfazione per lo sblocco del miliardo di euro alla sfiducia montata nei giorni successivi - il sindaco di L'Aquila Massimo Cialente ha compiuto un gesto simbolico per denunciate la mancanza di fondi per la ricostruzione del Capoluogo d'Abruzzo. Con una lettera (di seguito il testo) indirizzata al Presidente delle Repubblica Giorgio Napolitano, al Premier Enrico Letta, ai Ministri (Economia, Interno, Coesione Territoriale, Sviluppo economico, Beni Culturali), al Presidente delle Corte dei Conti, al Segretario Generale de Mise ed al Direttore generale del Mef ha deciso di restituire la fascia tricolore da sindaco.

 

LA LETTERA

Gentilissimo Signor Presidente, Gentilissimi Tutti,

 

scrivo questa lettera per esprimere la mia profonda preoccupazione, il mio rammarico e la mia mortificazione come Sindaco e come Italiano per quanto sta accadendo a L’Aquila.

Sono quattro anni che la ricostruzione non parte, quattro anni che la Città, uno dei centri storici più importanti d’Italia, è deserta, distrutta. Muta testimonianza dell’inefficienza del sistema Paese.

Dopo la vergognosa parentesi del commissariamento, finalmente, con la legge c.d. Barca, gli strumenti per la ricostruzione sono passati ai Comuni; ci siamo dati da fare, abbiamo cercato, nonostante le mille difficoltà, di avviare a definizione migliaia di progetti, perché l’imperativo fosse ridare una casa ad oltre quarantamila sfollati e  restituire il centro storico alla sua vita. Alla sua dignità.

Dal mese di ottobre sono finiti i soldi. Dal mese di ottobre i cantieri che erano aperti hanno dovuto sospendere i lavori ed oltre duemila progetti, pari ad oltre 300 grandi condomini e 60 aggregati, aspettano SOLO il finanziamento per poter riprendere l’attività di ricostruzione.

Dietro a questi numeri vi sono migliaia di famiglie che attendono. Ci è sempre stato detto che avremmo potuto contare, come comune dell’Aquila, sui 985 milioni di euro della delibera CIPE n.135 del dicembre 2012.

Questi soldi di cui solo una parte di cassa, ad oggi, 6 maggio 2013, ancora non arrivano.

Lo Stato, inteso come un sistema che dovrebbe essere capace di farsi carico realmente in scienza e coscienza, delle necessità reali, sta affrontando la vicenda aquilana con un atteggiamento burocratico di esasperata lentezza che nasconde l’assoluta mancanza di solidarietà e di rispetto istituzionale, l’assoluto disinteresse al destino delle Istituzioni locali, ma soprattutto dei cittadini aquilani, riparandosi nella giustificazione di fredde ed insensibili procedure burocratiche.

Noi qui stiamo letteralmente crepando. Non mi rassegno.

Non mi rassegno e non sopporto più l’idea che gli incartamenti relativi ai nostri finanziamenti possano stare per mesi fermi su una scrivania, ricevendo lo stesso trattamento che viene riservato a qualsiasi altra pratica alla quale tocca subire l’inefficiente burocrazia del Paese.

Io sono un medico e sin dall’inizio dei miei corsi di studio ho imparato a distinguere l’emergenza dagli interventi di elezione. Ciò che mi muoveva e mi muove nel mio lavoro è soprattutto un sentimento di pietas, chiamatela pure care.

In questo caso, dovrebbe definirsi il senso di responsabilità dello Stato.

Come Sindaco, mi sento umiliato; umiliato nel  dover telefonare a funzionari vari, dovendo ogni volta spiegare l’emergenza aquilana, la necessità di ricevere i finanziamenti. Mi sento umiliato di ricevere la risposta : “Abbiamo bisogno dei nostri tempi”.

Umiliato nel dover spiegare che affinché L’Aquila non muoia c’è immediatamente bisogno di un decreto che con un meccanismo di cassa depositi e prestiti, finanzi un altro miliardo per rispettare il nostro cronoprogramma.

Cronoprogramma che questa Amministrazione comunale ha avuto la forza e la responsabilità di far accettare ai cittadini, a molti dei quali ha dovuto dire con coraggio che le loro case si potranno ricostruire solo a partire dal 2016.

Noi ce la stiamo mettendo tutta ma lo Stato ci ha abbandonati.

Assumendomi la responsabilità di ciò che dico, segnalo ancora una volta che la Città è allo stremo: scoramento, sfiducia, rabbia, disperazione, povertà.

Io, Noi, non ce la facciamo più.

Non so più come spiegare che in questi mesi, gli unici nei quali a L’Aquila si può lavorare nell’edilizia prima che torni il gelo del nostro inverno, migliaia di cantieri non possono partire. Stiamo perdendo un altro anno.

La rabbia è tanta. Nuovamente ieri ho subito un aggressione, dapprima verbale e poi fisica, da parte di un gruppo di giovani disoccupati e senza casa. Fortunatamente sono stato difeso da altri cittadini.

Tra l’altro segnalo che recentemente, il Prefetto ed il Comitato per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica, hanno ritenuto giusto negare la possibilità che il mio autista fungesse anche da agente di Pubblica Sicurezza, come lo è già stato,  ritenendo che io non abbia bisogno di alcuna protezione.

Mi sta bene e me la cavo da solo. Ma voglio segnalare questo fatto come un’altra prova dell’assoluta incapacità dello Stato a capire quello che sta succedendo in questa Comunità abbandonata a se stessa dallo Stato stesso che del nostro dramma si è preoccupato solo di fare uno show e uno scontro politico.

Non intendo più accettare questo stato di cose in modo omertoso.

Non mi presterò più a fare da cuscinetto fra uno Stato indifferente e la disperazione degli aquilani.

Voglio difendermi come aquilano, devo difendere la sopravvivenza della Città. Voglio difendere la città da uno stato che con una legge ha deciso che l’emergenza è finita, lasciandoci soli, senza norme in una situazione nella quale 40.000 sfollati sono la punta dell’iceberg.

Voglio difendere la Città dalla minaccia di dover pagare milioni di euro di tributi inizialmente non versati, o dal ricevere “bollette pazze” dall’ENEL.

Abbiamo invano chiesto di ragionare con i Ministri interessati. Risposta: nulla.

Riconsegno oggi nelle Sue mani, Signor Presidente della Repubblica, la fascia tricolore.

Le comunico che lo abbiamo deciso come Giunta.

Che venga lo Stato a spiegare ai cittadini le sue logiche e le sue scelte.

Alla base della nostra Costituzione, in ogni articolo, si respira il senso della responsabilità istituzionale e democratica che si esprime nei diritti e nei doveri delle Istituzioni e dei Cittadini.

Questo spirito non lo vedo nel comportamento dello Stato.

Come segnale del dolore di questo abbandono, come denuncia per quel diritto dovere che fu proposto come articolo dai costituenti alla resistenza di fronte ai soprusi, da oggi non indosserò più la fascia tricolore ed ammainerò il tricolore da tutti gli edifici pubblici comunali.

Lo Stato ci costringe a riconoscerci solo nella  bandiera della Città nero verde, colori che nel 1703 sostituirono il bianco ed il rosso. Dopo il terremoto del 1703 gli aquilani scelsero il nero del lutto ed il verde della speranza.

Oggi, se dovesse continuare così, ci si costringerà a togliere anche il verde.

Un’ ultima considerazione. Abbiamo perso più di sette mesi per la ricostruzione delle case; ogni mese per l’assistenza alla popolazione, a quattro dal sisma, spendiamo 3 milioni di euro per ospitare ancora gli sfollati negli alberghi, nella scuola della Guardia di Finanza e per il contributo di autonoma sistemazione.

Soldi degli Italiani che vengono gettati in questa fornace, i cui mattoni si chiamano inefficienza, indecisione ma soprattutto insensibilità.

Ho dettato questa lettera con una disperazione infinita, con un senso di impotenza e di dolore nel prendere atto che tutti gli sforzi che gli aquilani stanno facendo cozzano contro un’assoluta insensibilità. A volte indifferenza.

Ieri, 5 maggio, mille storici dell’arte Italiani, si sono incontrati a L’Aquila per denunciare lo stato di abbandono del centro storico ed il fallimento della ricostruzione.

 

Mi sono sentito mortificato come Sindaco, mortificato di dover mostrare ancora le nostre piaghe.

Scrivo questa lettera perché è giusto che, come io e tutti gli aquilani stiamo facendo da quel maledetto 6 aprile 2009, anche gli altri comincino ad assumersi definitivamente le proprie responsabilità.

 

L’Aquila, 6 maggio 2013

 

Massimo Cialente