Pescara: operazione contro la prostituzione cinese

Sei persone arrestate per sfruttamento e favoreggiamento: il capo era una donna. Ricostruito il giro d'affari: 90mila euro al mese

Pescara: operazione contro la prostituzione cinese

PESCARA: OPERAZIONE  CONTRO LA PROSTITUZIONE CINESE. La Polizia di Stato sta completando l’esecuzione di custodia cautelare in carcere nei confronti dei componenti di una banda criminale di cinesi accusati di associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il capo era una donna. Decisiva la collaborazione di una ragazza liberata dopo un blitz della Polizia. Ricostruito un giro d’affari di almeno 90.000 euro al mese. Indagini svolte dall’Ufficio della Squadra Mobile della Questura di Pescara in collaborazione con altri uffici della Polizia di Stato in ambito nazionale.

TRE APPARTAMENTI IN CITATA MA IL CENTRALINO ERA A VENEZIA. Il centralino era a Venezia. I tre appartamenti in cui le ragazze si prostituivano, invece, erano a Pescara e Montesilvano. Per trovare i clienti pubblicavano annunci sui giornali locali: inserzioni con avvenenti ragazze nude o seminude che offrivano massaggi.  E’ il giro di sfruttamento della prostituzione scoperto dalla Squadra Mobile di Pescara in collaborazione con i colleghi di Venezia, Prato, Rimini e Padova, anche grazie alle dichiarazioni di una delle prostitute che, con l’aiuto della Polizia, si è affrancata dal giogo dei suoi aguzzini e adesso vive in una località protetta. Il GIP del Tribunale di Pescara (dott. Nicola Colantonio) su richiesta del PM che ha diretto le indagini (dott. Salvatore Campochiaro), ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di tre uomini e tre donne, tutti di nazionalità cinese e con regolare permesso di soggiorno.

PEDINAMENTI, INTERCETTAZIONI. Un’indagine durata un anno e fatta di appostamenti, pedinamenti e intercettazioni telefoniche, che ha evidenziato come il mercato del sesso “low cost” sia in mano ai cinesi. Non a caso le prostitute venivano chiamate “operaie”, in quanto dedite al lavoro come in una fabbrica, e i prezzi erano fortemente concorrenziali, come tutto ciò che è prodotto in Cina. Gli investigatori sono riusciti a scovare i tre appartamenti in cui le ragazze ricevevano i clienti e dove, di tanto in tanto, il capo dell’organizzazione (una donna) o i suoi emissari, si recavano per rifornirle di cibo e tutto il necessario per vivere e lavorare, come salviette e preservativi, ma soprattutto per riscuotere i proventi del meretricio. Erano i membri dell’organizzazione a tenere i contatti con i clienti e a comunicare il loro arrivo alle prostitute che, di solito, non sapevano neppure parlare l’italiano.Gli sfruttatori non si facevano scrupolo nel sollecitare le connazionali a soddisfare ogni richiesta dei clienti, anche quando si trattava di concedere rapporti non protetti. Le tariffe poi, come detto particolarmente economiche, partivano da soli 30 euro. Nel corso delle indagini, sono stati accertati ingenti trasferimenti di denaro in Cina attraverso operatori finanziari.

Redazione Independent