Sciacalli in azione nel Cratere

Coppia lombarda ai domiciliari per truffa e tentata estorsione. L'obiettivo era conseguire denaro illecitamente

Sciacalli in azione nel Cratere

TRUFFA E TENTATA ESTORSIONE A IMPRENDITORE, DUE ARRESTI. Due ordinanze di arresti domiciliari, disposte dal G.I.P. Giuseppe Romano Gargarella, all’esito di indagini coordinate dal Procuratore della Repubblica Fausto Cardella e dal Sostituto Simonetta Ciccarelli, sono state eseguite dai finanzieri della Compagnia di L’Aquila. Gli arrestati sono accusati di truffa e tentata estorsione nei confronti di un imprenditore che, in grave stato di difficoltà economiche, aveva creduto alle promesse di una ingente immissione di liquidità nelle casse sociali una volta che essi avessero assunto il controllo dell’azienda. In realtà, l’obiettivo dei due truffatori era quello di conseguire illecitamente denaro spendendone il nome presso banche e finanziarie e, in un secondo momento, indurre il malcapitato ex titolare a ricomprare le quote della società ad un prezzo molto più elevato del loro valore per togliere il “disturbo”.

LA VICENDA. La vicenda si è dipanata velocemente a partire da marzo di quest’anno, quando gli arrestati si sono insinuati nella gestione dell’azienda aquilana, specializzata nella fornitura di materiale per l’edilizia e operante nel grande buisiness della ricostruzione post – terremoto, promettendo l’afflusso ”cash” di 1 milione di euro di capitale fresco, l’ampliamento degli affari nel cratere sismico e, addirittura, prospettando l’ingresso nelle commesse edilizie legate all’EXPO’ 2015 a Milano, grazie a non meglio specificate “conoscenze”. Prospettive davvero allettanti quelle esposte da M.G., 42 anni di Voghera (PV), e Giancarlo Francescon, 57 anni di Milano, quest’ultimo già noto alla Guardia di Finanza per precedenti frodi connesse all’utilizzo di valori bollati falsificati, in conseguenza delle quali era già stato, nel 2008, sottoposto alla misura restrittiva degli arresti domiciliari.

IL PROGETTO DI RISANAMENTO. Il “miracoloso” progetto di risanamento industriale proposto dai due, appariva idoneo a togliere di impaccio l’imprenditore aquilano, attivo nella fornitura di materiali per l’edilizia e, quindi, fortemente legato alla filiera della ricostruzione, venutosi a trovare in grosse difficoltà finanziarie a causa di una forte crisi di liquidità dovuta, tra l’altro, ai ritardi nei pagamenti da parte dei suoi clienti. Nell’ultimo anno, la sua azienda ha infatti accumulato perdite per oltre 800 mila euro determinando la cassa integrazione per i dipendenti e ritardi nel pagamento degli stipendi. I due arrestati erano stati conosciuti dall’imprenditore, presso uno studio legale di Bologna, grazie all’intermediazione di P.G., 57 anni di Bologna, indagato a piede libero per i medesimi reati - che lo aveva convinto a cedere loro la maggioranza delle quote della sua azienda in cambio dell’afflusso nel capitale sociale di 1 milione di euro cash.

L'AUMENTO DI CAPITALE IN CAMBIO DELLA CESSIONE DELLE QUOTE. Alla determinazione del prezzo stabilito per la cessione della quota – circa 29.000 euro per il 60%, sancita con tutti i crismi dell’ufficialità avanti al notaio e comunicata alla Camera di Commercio unitamente all’aumento di capitale per 1 milione di euro ad opera del duo Girardelli/Francescon - non ha fatto, tuttavia, seguito né la materiale corresponsione del denaro al cedente né il promesso afflusso del denaro nelle casse sociali. Infatti, l’assegno destinato al pagamento delle quote rilevate dai due “compari” è stato subito preteso indietro non appena usciti dallo studio del notaio ed i due nuovi soci, una volta insediatisi alla guida dell’impresa, lungi dall’intenzione di ricapitalizzarla e risanarla, si sono, invece, subito premurati di ottenere le autorizzazioni ad operare sui conti correnti aziendali.

CREDITI "SCONTATI" INESISTENTI. Il passo successivo è stato quello di presentarsi presso una società di factoring del nord Italia, muniti di contratti del tutto falsi, predisposti a nome dell’impresa e di ignari contraenti, per farsi scontare inesistenti crediti aziendali; insomma, piuttosto che investimenti nell’edilizia della ricostruzione post-terremoto, l’operazione architettata dai due arrestati ha subito assunto i connotati della più classica delle truffe, finalizzata esclusivamente a far cassa spendendo il nome dell’azienda aquilana. Questo ha indotto l’imprenditore - a marzo scorso - a rivolgersi alla Procura della Repubblica e ai finanzieri della Compagnia di L’Aquila.

LE INDAGINI. I tempi delle indagini sono stati necessariamente celeri per evitare, per un verso, il collasso dell’azienda e, per altro verso, che i rapporti tra i due e la vittima potessero esacerbarsi oltre un certo limite dato che, almeno in un paio di circostanze, ad aprile scorso, presso la sede dell’impresa aquilana si sono vissuti momenti di forte tensione, con strascichi di denunce e controdenunce, che hanno richiesto l’intervento di Polizia e Carabinieri per riportare la situazione alla normalità. Visto che i tentativi di ottenere denaro tramite l’impresa rilevata si erano rivelati vani e considerata l’evidente impossibilità di continuare a sfruttare il nome dell’azienda aquilana, il cui ex titolare era, ormai, del tutto diffidente, gli autori della truffa hanno pensato, infine, di estorcere a quest’ultimo del denaro per uscire di scena. La coppia ha dapprima “insistentemente suggerito” all’imprenditore di consegnare loro 330 mila euro per riottenere le quote della società. Successivamente hanno simulato l’ingresso in scena di un professonista milanese (in realtà ignaro ed estraneo ai fatti) riducendo la pretesa a 250 mila euro. Quindi, si sono nuovamente presentati a L’Aquila, presso la sede legale dell’impresa ”scippata”, unitamente ad un pregiudicato, T.P., 49 anni di Napoli, minacciando la vittima. Infine hanno ulteriormente ridotto la pretesa iniziale, a 100 mila euro, simulando la cessione delle quote contese in favore di un loro conoscente, F.V., 32 anni di Sesto San Giovanni (MI), anch’egli indagato, prospettando la possibilità di annullare tale ultima vendita in cambio del denaro e minacciando, in caso di nuovo diniego, l’affondamento definitivo dell’azienda per mezzo del nuovo “socio”. A quest’ultimo, i finanzieri hanno sequestrato le quote su ordine del G.I.P..
L’ultimatum per la scelta tra l’inevitabile “default” dell’azienda e l’adesione alla richiesta estorsiva sarebbe scaduto proprio il 30 maggio. Ma i due non avrebbero di certo potuto immaginare che, il giorno prima della fatidica data, i finanzieri aquilani avrebbero bussato alle loro abitazioni mettendo fine ad ogni proposito illecito.

Redazione Independent