Quote rosa e preferenze di genere sono incostituzionali

Le Istituzioni non possono regolamentare le scelte dell’elettore: solo i Partiti al loro interno possono liberamente prevedere regole interne

Quote rosa e preferenze di genere sono incostituzionali

QUOTE ROSA E PREFERENZE DI GENERE: INCOSTITUZIONALI PER LEGGE. Sulle norme della legge 81/93 e “a cascata” anche sulle disposizioni delle sopracitate leggi, è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 422 /1995 che le ha dichiarate costituzionalmente illegittime in rapporto agli art.3 e 51 Cost., perché contrastanti con il principio di eguaglianza sia formale che sostanziale. “Posto che…l’appartenenza all’uno o all’altro sesso non può mai essere assunta come requisito di eleggibilità, ne consegue che altrettanto deve affermarsi riguardo la “candidabilità”. La sentenza della Corte prosegue negando che il legislatore possa riservare posti alle donne nelle liste elettorali adducendo di compiere un’ “azione positiva” in attuazione dell’art.3,2 Cost. “… Se tali misure legislative, volutamente diseguali, possono certamente essere adottate per eliminare situazioni di inferiorità sociale e economica … non possono invece incidere direttamente sul contenuto stesso di quei medesimi diritti, rigorosamente garantiti a tutti i cittadini in quanto tali. In particolare, in tema di elettorato passivo, la regola inderogabile stabilita dallo stesso Costituente, con il primo comma dell’art.51, è quella dell’assoluta parità, sicchè ogni differenziazione in ragione del sesso non può che risultare oggettivamente discriminatoria, diminuendo per taluni cittadini il contenuto concreto di un diritto fondamentale in favore di altri, appartenenti ad un gruppo che si ritiene svantaggiato.” La Corte Costituzionale, però, osserva che se le disposizioni normative che prevedono quote riservate in base al sesso sono costituzionalmente illegittime “possono essere valutate positivamente ove liberamente adottate dai partiti politici … anche con apposite previsioni dei rispettivi statuti concernenti la presentazione delle candidature”. Secondo la Consulta, il legislatore con le “quote” avrebbe mirato non a rimuovere gli ostacoli ex art.3,2 Cost., ma ad attribuire direttamente risultati. La Corte, peraltro, si mostra consapevole della scarsa partecipazione femminile alle cariche elettive: tanto che ritiene opportuno richiamare, in un passo della sentenza, una risoluzione del Parlamento europeo (n. 169/1988 ) nella quale si invitano i partiti politici a stabilire quote di riserva per le candidature femminili.

SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE 49/2003. Pochi giorni prima che venisse approvata la novella dell’art.51, il 13 febbraio 2003, la Corte Costituzionale emette una sentenza che modifica la sua precedente giurisprudenza, Sent. 49/2003. La Corte ha giudicato costituzionalmente legittima la legge elettorale per il Consiglio regionale della Valle d’Aosta, che prevedeva l’obbligo di riserva di almeno un candidato di ogni sesso, durante la presentazione delle liste. Il quadro di riferimento attuale non coincide con quello vigente al momento della precedente pronunzia su analoga materia, che era stata di illegittimità costituzionale (Sent. n.422/1995). Viene ricordata la modifica dell’art. 3 della Costituzione francese e l’approvazione, nell’ambito della Conferenza di Nizza del 2000, della “Carta dei diritti fondamentali” dell’Unione europea che all’art. 23 proclama che ”il principio della parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato”. La Corte evidenzia che ”le disposizioni contestate non pongono l’appartenenza dell’uno o dell’altro sesso come requisito … di eleggibilità, e nemmeno di candidabilità … L’obbligo imposto dalla legge … concerne solo le liste e i soggetti che le presentano”. “In altri termini - prosegue la Consulta - le disposizioni in esame stabiliscono un vincolo non già all’esercizio del voto … ma alla formazione delle libere scelte dei partiti e dei gruppi che formano e presentano le liste elettorali …”. Viene precisato che tale vincolo opera solo nella fase anteriore alla vera e propria competizione elettorale, per cui la scelta degli elettori tra i candidati e l’elezione di questi non vengono condizionate dal sesso dei candidati. (tanto più nel caso in esame, che prevede la possibilità per l’elettore di esprimere “preferenze.) La legge regionale contestata, dunque, non prevede “alcuna misura di disuguaglianza” allo scopo di favorire individui appartenenti a gruppi svantaggiati, né alcuna incidenza diretta sul contenuto dei diritti fondamentali dei cittadini dell’uno e dell’altro sesso che in effetti rimangono tutti egualmente eleggibili sulla base dei soli ed eguali requisiti prescritti. La Corte, ricordando anche le nuove modifiche costituzionali, arriva a definire “doverosa” l’azione promozionale per la parità di accesso alle consultazioni elettorali. Vengono, ancora una volta, valutate positivamente tutte le misure ”liberamente adottate da partiti politici, associazioni o gruppi che partecipano alle elezioni, anche con apposite previsioni dei rispettivi statuti o regolamenti concernenti la presentazione delle candidature”.

Redazione Independent