Palestinesi processati a L’Aquila per terrorismo

Comunicato stampa del collegio difensivo dei tre palestinesi processati all’Aquila

per terrorismo in ordine alle gravi violazioni del diritto di difesa conseguenti alle

decisioni assunte dalla Corte di Assise nella prima udienza dibattimentale.

Un giusto processo o un processo sommario, la giustizia o lo scalpo?

Nel mentre si sta consumando sotto gli occhi di ogni essere umano a Gaza e in

Cisgiordania una delle maggiori tragedie a cui l’essere umano abbia mai assistito, si

celebra all’Aquila, città incastonata tra i monti imbiancati del Gran Sasso d’Italia, il

processo per terrorismo contro tre palestinesi accusati di sostenere la resistenza armata

a Tulkarem, in Cisgiordania, contro l’occupazione militare israeliana.

In data 2 aprile 2025 si è tenuta presso la Corte di Assise de l’Aquila la prima udienza

del processo contro Yaeesh Anan Kamal Afif, Doghmosh Mansour e Irar Ali accusati

di associazione terroristica ex art 270 bis cp perché unitamente alla resistenza

palestinese della Cisgiordania avrebbero partecipato moralmente alla lotta armata

contro l’occupante straniero, fenomeno resistenziale ricondotto dalla magistratura

requirente e giudicante alla categoria del terrorismo invece che al legittimo diritto alla

autodeterminazione dei popoli.

Ebbene in primo luogo la Corte – diversamente dal Giudice dell’Udienza Preliminare

che, in accoglimento dell’eccezione difensiva, aveva escluso dal fascicolo per il

dibattimento l’acquisizione di 22 verbali di interrogatori di prigionieri palestinesi

condotti prima dallo Shin Bet e successivamente dalla polizia israeliana, e ricevuti per

rogatoria internazionale – ha acquisito 15 dei predetti verbali. In particolare, la Corte

ne ha espunto dalla disposta acquisizione unicamente 5 rispetto ai quali al prigioniero

palestinese non era stata neppure concessa la possibilità di contattare telefonicamente

un difensore.Ad avviso della difesa l’acquisizione dei predetti verbali rappresenta una palese

violazione dei principi giuridici su cui si fonda la civiltà giuridica del paese di Verri e

Beccaria e ci accomuna ai sistemi di stampo autoritario rappresentando uno strappo,

un vulnus ai principi su cui si fonda il giusto processo.

Ciò, in primo luogo, sulla scorta del fatto per cui le principali associazioni

internazionali in materia di diritti umani, ossia Amnesty International e Human Rights

Watch, associazioni ritenute affidabili anche dalla giurisprudenza nazionale, hanno

costantemente e ancora recentemente ribadito come Israele “sottoponga a trattamenti

crudeli e inumani ai danni dei detenuti in violazione del divieto di tortura” i prigionieri

palestinesi nel corso degli interrogatori per ottenere confessioni. Ricorso sistematico

che è stato il motivo per cui la stessa Corte di Appello dell'Aquila1 aveva revocato la

misura cautelare della custodia in carcere alla quale era sottoposto lo Yaeesh

nell'ambito della procedura estradizionale ritenendolo non estradabile per sussistenza

della condizione ostativa di cui all’art. 705 comma 2 lett a) e c) cpp. Pratica della tortura

che trova positivo riscontro nello stesso governo israeliano, in quanto la stessa Corte

Costituzionale israeliana dal 1999 consente la possibilità del ricorso a tecniche di

pressioni fisiche sul detenuto nel corso degli interrogatori nei casi della cd. “bomba ad

orologeria” ed esentando da ogni responsabilità gli agenti dei servizi segreti.

Inoltre, in quanto gli atti in esame sono fondati sulla deportazione dei palestinesi dal

territorio occupato a quello della potenza coloniale occupante, Israele, e pertanto sulla

violazione dell'art. 49 della Quarta Convenzione di Ginevra che costituisce violazione

1 Testualmente:

“grave ai sensi dell'articolo 147 della Convenzione stessa, integrando in tal modo un

crimine di guerra.

Ancora, in quanto nel corso degli interrogatori condotti dallo Shin Bet i detenuti

palestinesi – i quali tra l’altro sono sottoposti alla legge eccezionale marziale che è

applicata dal sistema giudiziario militare, dai tribunali militari, e dunque dall’autorità

legata al potere esecutivo – sono privati di qualsiasi possibilità di interloquire con un

difensore, mentre nel successivo interrogatorio innanzi alla polizia israeliana è

consentita la sola comunicazione telefonica con lo stesso ma comunque non la sua

partecipazione.

Risulta al contempo evidente come il fatto che la giurisdizione è esercitata nei confronti

dei palestinesi non dall'autorità giudiziaria, ma bensì da quella legata all'esecutivo –

ossia dai tribunali militari, il cui personale, compresi giudici e pubblici ministeri, è

composto da membri delle forze d'occupazione, spesso dalle stesse unità coinvolte in

"azioni ostili" contro il popolo palestinese, in cui persino il tribunale militare d'appello

opera sotto la supervisione del Procuratore Generale Militare - è tale da minare lo stesso

Stato di Diritto per come concepito ai sensi della Convenzione Europea per la

salvaguardia dei diritti dell'uomo, dalla stessa Corte Costituzionale e dal codice di rito,

ma anche ai sensi del Patto Internazionale sui diritti civili e politici, che all'art. 10

prevede il diritto ad un giudice indipendente ed imparziale fondamentale per garantire

un processo equo e giusto. Il predetto sistema risulta altresì discriminatorio nella

misura in cui i palestinesi sono sottoposti ad una legislazione deteriore rispetto a quella

che Israele applica ai propri cittadini, in quanto i coloni in Cisgiordania vengono

giudicati da corti civili.

Pertanto, l’acquisizione dei predetti verbali ad avviso della difesa è lesiva del diritto di

difesa, in particolare del principio del contraddittorio nella formazione della prova, –

non avendo partecipato all’assunzione degli stessi nè la difesa degli attuali imputati né

quella dei detenuti palestinesi - nonché, perché alla base degli stessi sussiste un crimine

di guerra, la violazione dei diritti umani, e gli atti discriminatori posti alla base degliatti stessi e dell’ordine pubblico processuale, risolvendosi complessivamente gli

interrogatori in esame in una patente violazione degli artt. 111 e 27 Cost., degli artt. 3

e 6 della Cedu e dell’art. 10 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici.

***

Inoltre, chiamata a decidere sulle richieste di prove, la Corte ha ammesso solo tre testi

rispetto ai complessivi 47 tra consulenti e testimoni articolati dalle difese nelle tre

diverse liste testi separatamente presentate per ciascun imputato e così suddivisi: 9

consulenti tra giuristi esperti di diritto internazionale umanitario, professori universitari

docenti in diverse discipline tutte attinenti ai fatti per cui è processo, consulenti esperti

di formazioni armate mediorientali e in particolare di quelle operanti nella città di

Tulkarem; nonché testimoni scelti tra funzionari di organizzazioni internazionali,

cooperanti e volontari impegnati in progetti in Cisgiordania e nella città di Tulkarem

in particolare; cooperanti aggrediti da Coloni israeliani nel corso delle loro missioni;

giornalisti residenti in Palestina.

A titolo esemplificativo, la difesa aveva indicato come consulenti nominativi quale

Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite; la Prof.ssa Alessandra

Annoni, docente di diritto internazionale a Ferrara; Prof. Leopold Lambert chiamato a

riferire sui suoi studi relativi all’architettura degli insediamenti israeliani in

Cisgiordania; Daniele Garofalo esperto di formazioni militari in grado di riferire sulle

azioni delle Brigate presenti a Tulkarem, Prof. Francesco Chiodelli, ecc.

Ovvero, testimoni come Luisa Morgantini, Stefania Ascari, Chiara Cruciati, Cecilia

Dalla Negra, Angelica Giombini, Salah Hammouri, Ferdinando Capovilla, Don

Nandino, di Pax Christi, nonché l’ex capo dello Shin Bet Ronen Bar, servizio di

sicurezza interna di Israele, dal 2021 al 2025, in merito alle aggressioni dei coloni a

danno della popolazione palestinese e alle sue affermazioni su “il terrorismo ebraico è

fuori controllo ed è divenuto un reale pericolo per la sicurezza nazionale” ecc.

Ebbene, la Corte ha ammesso unicamente tre testimoni, tra l’altro tutti e tre inseriti

unicamente nella lista testi di un solo imputato, quindi negando alcuna possibilità didifesa agli altri due, accogliendo la sola testimonianza di Martina Lovito, volontaria

italiana, rispetto alla quale però non è stata ammessa la deposizione concernente

l’aggressione dalla stessa subita da parte dei coloni israeliani nel luglio del 2024; la

moglie dell’imputato; Simone Sibilio, consulente della difesa rispetto al significato da

attribuire alle espressioni linguistico-dialettali usualmente utilizzate dalla popolazione

palestinese e presenti nelle numerose conversazioni oggetto del presente giudizio.

Pertanto sui fatti compiuti in Cisgiordania riferirà la sola Digos dell’Aquila, agli occhi

dei Giudici la più qualificata a rendere conto di una sessantennale occupazione e delle

sue peculiari connotazioni storiche, geografiche, fattuali, giuridiche e umane.

E questo è solo l’inizio.

Avv. Pamela Donnarumma - Avv. Ludovica Formoso - Avv. Flavio Rossi Albertin