Accertato danno erariale da 53 milioni di euro a Napoli

Nel mirino della Corte dei Conti la mancata rifunzionalizzazione dei depuratori e l'inefficienza del sistema pubblico di depurazione delle acque reflue

GUARDIA DI FINANZA NAPOLI E CORTE DEI CONTI: ACCERTATO UN DANNO ERARIALE DI CIRCA 53 MILIONI DI EURO PER LA MANCATA RIFUNZIONALIZZAZIONE DEI DEPURATORI E L’INEFFICIENZA DEL SISTEMA PUBBLICO DI DEPURAZIONE DELLE ACQUE REFLUE. Ammonta ca circa 53 milioni di euro il danno all’Erario accertato dai militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Napoli nell’ambito delle indagini delegate dalla Procura Regionale della Corte dei Conti per la Campania, su disposizione dei Sostituti Procuratori Pierpaolo Grasso e Ferruccio Capalbo, in relazione alla mancata rifunzionalizzazione dei depuratori delle acque reflue gestiti dalla “Hydrogest Campania Spa” e alla conseguente inefficienza del complessivo sistema di depurazione. Ciò a fronte di un esborso di denaro pubblico pari ad oltre 235 milioni di euro.

Le minuziose indagini condotte dal Nucleo di Polizia Tributaria di Napoli, cui hanno contributo nella fase inziale anche i militari del Nucleo di Polizia Tributaria di Caserta, hanno ricostruito le complesse vicende che hanno portato nel 2006 all’avvio della concessione, in regime di project financing, alla società di scopo “Hydrogest Campania Spa”. A

l fine di adeguare gli impianti ex PS3 (Piano Speciale n. 3) di Napoli Nord, Acerra, Napoli Ovest (Cuma), Area Casertana (Marcianise) e Foce Regi Lagni alla normativa ambientale, nel 2002 il Commissariato alle Bonifiche e Tutela delle Acque nella Regione Campania affidò il servizio utilizzando la procedura prevista dall’art. 37-bis della legge n. 109/1994 (project financing), per ottenere un duplice vantaggio: utilizzo di capitali privati per gli investimenti; traslazione del rischio d’impresa sul concessionario.

Il CIPE, interpellato in merito, aveva sconsigliato il ricorso alla finanza di progetto, suggerendo, di converso, la formula dell’appalto/concorso, viste le modifiche normative in atto (Nuovo codice dell’ambiente, di cui al D.Lgs. n. 152/2006), la complessità del sistema depurativo nonché il fatto che il project financing “meglio si presta in caso di limitati vincoli territoriali ed amministrativi”. Ciononostante, l’allora Commissariato alle Bonifiche e Tutela delle Acque nella Regione Campania decise di percorrere la “strada innovativa” della finanza di progetto e nel successivo luglio del 2003 l’ATI composta da “TM.E Spa” e “Giustino Costruzioni Spa” - che poi avrebbero costituito la citata società di scopo “Hydrogrest Campania Spa” - si aggiudicò la concessione “per l’adeguamento e la realizzazione del sistema di collettore PS3 (…) l’adeguamento degli impianti di 2 depurazione di Acerra, Cuma, Foce Regi Lagni, Marcianise, Napoli Nord, nonché la realizzazione o l’adeguamento degli impianti di trattamento dei fanghi”.

Il Piano economico finanziario (PEF) prevedeva investimenti privati pari a complessivi 120 milioni di euro da destinare a rendere il processo depurativo conforme alla normativa ambientale. Parallelamente la “Hydrogrest Campania Spa” riusciva altresì ad assicurarsi la gestione e l’incasso dei canoni sulle acque reflue per 15 anni, per un volume di introiti stimato in oltre un miliardo di euro.

Sui canoni delle acque reflue sono emerse nel corso delle indagini esperite dal Nucleo di Polizia Tributaria di Napoli, una serie di significative anomalie, di seguito illustrate. In sede di convenzione, innanzitutto, il Commissariato aveva inserito una clausola di salvaguardia in contraddizione con il ricorso alla finanza di progetto: l’erario si accollava, in caso di mancata riscossione dei canoni sulle acque reflue, tutto il rischio imprenditoriale, garantendo con risorse proprie il “volume dei ricavi attesi”, pari a 62 milioni di euro annui. In tal modo, la società concessionaria non aveva alcuna convenienza nell’intraprendere azioni nei confronti dei Comuni morosi, in quanto la differenza, tra l’incassato e i ricavi attesi sarebbe stata garantita dalla Regione Campania.

Dalle indagini svolte dai Finanzieri è di contro emerso come il calcolo del volume di ricavi attesi (62 milioni di euro) fosse stato sovrastimato, a causa della storica morosità dei Comuni interessati, dell’aggio trattenuto dagli Enti gestori delle erogazioni idriche e dell’alto tasso di evasione.

In definitiva: il piano economico-finanziario a base dell’intervento in project financing non era basato su dati verosimili; i ricavi sono stati di gran lunga sovrastimati rispetto ai costi; la Regione Campania non ha mai incassato interamente i previsti 62 milioni di euro, mentre i volumi del fatturato, a tutt’oggi, si aggirano in realtà intorno ai 42 milioni di euro, peraltro al lordo dei “pesanti” aggi riconosciuti agli Enti gestori delle forniture idriche (Consorzio Napoletana Gas; ARIN S.p.a., Acquedotti Scpa; Ottogas Spa). A titolo di esempio, infatti ARIN S.p.a. aveva sottoscritto con Hydrogest una convenzione che, al netto dell’aggio, garantiva introiti per circa 8 milioni di euro annui a fronte dei 23 milioni previsti nel PEF. In effetti, quando nel 2006 furono consegnati gli impianti, emersero tutte le deficienze della concessione. Hydrogest non riusciva a riscuotere i canoni dai Comuni e dagli Enti gestori delle reti idriche, i quali, invece, li incassavano dagli utenti finali.

Mancando i ricavi attesi ne in assenza dei finanziamenti bancari necessari per effettuare i previsti lavori sugli impianti, la concessionaria Hydrogest necessariamente si rivolse alla Regione Campania per ottenere i cc.dd. “volumi minimi di incassi”. Nel settembre del 2010 la Regione Campania ha risolto unilateralmente il rapporto concessorio.  

Le indagini svolte hanno accertato che non solo gli impianti sono stati riconsegnati non rifunzionalizzati, ammodernati e adeguati alla normativa ambientale, come previsto dalla concessione, ma addirittura in uno stato peggiore rispetto al 2006. Emblematici sono i dati delle analisi effettuate dall’ARPAC, che nel periodo di concessione hanno costantemente certificato la non conformità ai parametri fissati dal Codice dell’ambiente, e dai RUC (Responsabili della concessione per la Regione Campania).

La stessa Hydrogest, del resto, in sede di richiesta di autorizzazione per lo scarico a mare indirizzata alle Provincie di Napoli e Caserta, sedi dei 5 depuratori gestiti, aveva dichiarato la non conformità loro e dei relativi reflui alla normativa ambientale.

Sino al 2012, tuttavia, la ormai ex concessionaria Hydrogest ha curato la mera gestione degli impianti, garantendosi altri 5 milioni di euro al mese. Dall’agosto del 2012 gli impianti sono passati a una gestione commissariale, che riesce, allo stato, a garantire una gestione efficiente, certificata dalle analisi condotte a valle della depurazione, a fronte di una spesa mensile di circa 4 milioni di euro. Sulla base degli elementi investigativi forniti dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Napoli, la Procura contabile ha contestato - a titolo di dolo e/o colpa grave - a “TM.E Spa”, “Giustino Costruzioni Spa” e “Hydrogrest Campania Spa” nonché a 7 soggetti, di cui 2 pubblici amministratori, 2 dirigenti pubblici e 3 dirigenti d’azienda, la responsabilità di un danno erariale quantificato in circa 53 milioni di euro complessivi.

Per tali responsabilità, la Guardia di Finanza ha notificato ai medesimi soggetti un decreto emesso dalla Corte dei Conti per la Campania, che ha disposto - a scopo conservativo - il sequestro di beni mobili e immobili e valori sino a concorrenza dell’intero danno erariale contestato.

Redazione Independent