La storia "marginale" di Luigi Milani

Son passati esattamente 40 anni dalla sua scomparsa: fu perseguitato nel Ventennio a causa del cognome

STORIA MARGINALE DI LUIGI MILANI E E DEL SUO COGNOME APPARENTEMENTE EBRAICO.
Quella che sto per raccontare è una di quelle “storie marginali” che, come dice Sepulveda non finiranno mai sui libri di storia, ma che per chi le ha vissute hanno un profondo significato emotivo.

Ora poiché la Storia, è frutto anche della somma di tante storie minime, ho pensato che raccontare questo spezzone di vita potesse essere utile per non dimenticare poiché come dice Goya “il sonno della memoria genera mostri”.

Qualche giorno fa tra le mie scartoffie, mi è capitato tra le mani un vecchio libretto di risparmio postale dalla copertina verde .intestato ad un certo Luigi Milani di cui, dopo quasi mezzo secolo, mi ero quasi completamente dimenticato.

Sfogliandolo mi sono ricordato la storia di quel libretto e di come ne ero venuto in possesso.

Sono passati esattamente 40 anni dalla morte di Milani le cui vicende personali non sono dissimili da quelle delle migliaia di uomini e donne che hanno avuto la sfortuna di vivere nella prima metà del cosiddetto secolo breve quando due guerre ed il fascismo hanno marchiato a fuoco quella generazione (Milani era del 1903).

Quella di Milani è però una vicenda tutta particolare che vale la pena di essere raccontata perché quello che ha dovuto patire nel ventennio è stato a causa del suo cognome.

Ho conosciuto Milani, che già era in età avanzata, negli anni '70 nella sezione Curiel del Pci di Pescara. In quel tempo, quando il movimento del 68 era ancora lungi dallo spegnersi, nel partito c’era molto fermento e la base si ritrovava spesso sulle posizioni del gruppo del “Manifesto”, fondato da Luigi Pintor, Rossana Rossanda, Aldo Natoli ed altri che accusavano i vertici del Pci di scarsa democrazia interna e di verticismo burocratico.

Di origini emiliane Milani era capitato a Pescara chissà come. Era solo e senza parenti e viveva in uno squallido ospizio per vecchi. Benché di età avanzata spesso si ritrovava accanto ai giovani critici nei confronti dei dirigenti del partito della sezione e dei funzionari che si attestavano sulla linea ufficiale del partito e che mal digerivano la contestazione della base.

Milani aveva un carattere un po’ burbero ma era molto corretto nei rapporti interpersonali e non amava l’apparato burocratico del partito. Quando gli chiesi di raccontarmi come era diventato comunista, lui mi rispose che era a causa del suo cognome che tutti scambiavano per cognome giudeo pur non essendolo. Sta di fatto che già prima della promulgazione delle Leggi Razziali del 1938, i fascisti ce l’avevano con lui perché appunto lo scambiavano per ebreo.

Dunque, mi disse, era guardato con sospetto e doveva continuamente giustificarsi e dimostrare di essere di origine “ariana”, perché, diceva, che a differenza degli ebrei italiani che hanno cognomi di città e comuni come Milano, il suo era Milani con la i finale anziché con la o.

Di lì a diventare antifascista prima e poi comunista il percorso fu breve.

Durante gli anni del Ventennio egli si spostava continuamente da una città all’altra e forse per questo non riuscì mai a farsi una famiglia. Al termine del suo girovagare finì nello Stato del Vaticano dove ricevette protezione e lavoro.

A noi giovani piaceva molto ascoltare le storie dei vecchi comunisti che, per non essersi arresi al fascismo, sono finiti al confino o in prigione. Quella di come fosse diventato comunista a causa del cognome, Milani la ripeteva un pò ossessivamente nei frequenti vivaci dibatti che si tenevano in sezione e alla fine finivano anche per annoiare.

Il vecchio comunista, si era preso l’impegno di aprire chiudere e tenere in ordine la sezione, compito che svolgeva quotidianamente con umiltà, impegnoe precisione fino a quando nel gennaio del '74 fu ricoverato in un ospedale della provincia per un cancro allo stomaco.

Un giorno mi mandò a chiamare perché doveva affidarmi un delicato compito. Quando andai a trovarlo mi resi conto che le sue condizioni di salute si erano enormemente aggravate. Milani sapeva di avere ancora poco da vivere, ma ciò nonostante si mostrava sereno e tranquillo.

Ricordo che si professava ateo ed è per questo motivo che quando un giovane prete si era offerto di dargli il sacramento dell’estrema unzione lui lo mandò via dicendogli che voleva morire così com’era vissuto convinto fino alla fine che dopo la vita c’è il nulla.

Fu in quell’occasione che mi consegnò il suo libretto di risparmio, quello che conservo tutt’ora, dove con enormi sacrifici era riuscito a mettere da parte quasi un milione di lire: 999.910 per l’esattezza.

Mi disse che si fidava solo di me e che mi incaricava di versare tutta la somma risparmiata all’organo del Pci l’Unità, l’istituzione che ,secondo lui, combatteva i tentativi di revisione del fascismo con maggior efficacia di qualunque altro giornale.

Oggi l’Unità diffonde poche copie e rischia il fallimento se non trova un compratore entro il 30 luglio. Addirittura, secondo alcune voci, il giornale fondato da Gramsci nel 1924 potrebbe finire sotto il controllo della Pitonessa, la Santanchè, di cui tutto si può dire tranne che abbia sia pur vaghe tendenze di sinistra.

Ma allora, negli anni 70, era considerato quasi vangelo dai militanti che nelle feste dell’Unità si improvvisavano cuochi camerieri ecc. per contribuire a finanziare il giornale. Addirittura con l’edizione del primo maggio arrivavano a diffondere 1 milione di copie.

Dopo aver ritirato la somma di 999.000 lire coprii la differenza che mancava alla cifra tonda di 1 milione e consegnai l’assegno circolare all’allora segretario provinciale del Pci. Quando, dopo qualche giorno, sul giornale comparve in un trafiletto la notizia che l’Unità aveva ricevuto un contributo sottoscrizione da Luigi Milani di un milione di lire, mi sentii sollevato felice di aver rispettato le sue ultime volontà sia pure con qualche difficoltà su cui preferisco sorvolare.

Di lì a meno di un mese Luigi Milani se ne sarebbe andato amorevolmente assistito dai compagni e perfino dal personale sanitario del piccolo ospedale di Città Sant’Angelo.

A dare l’addio a Luigi Milani, i militanti della sezione Curiel del Pci di Pescara c’erano tutti con le lacrime agli occhi e con le bandiere rosse al vento: l’unico modo che a lui sarebbe piaciuto di essere salutato per l’ultimo viaggio.

Clemente Manzo