La rivoluzione si ferma ad ora di pranzo

In Val di Susa i "No Tav" vengono arrestati, in Veneto e Piemonte è caos tra blocchi stradali e bombe al Palazzo regionale, a Pescara ci si rivede dopo il panino. Forse.

La rivoluzione si ferma ad ora di pranzo

LA RIVOLUZIONE SI FERMA AD ORA DI PRANZO. Sono da poco passate le 8,00 del mattino quando in piazza Duca D’Aosta di Pescara iniziano a formarsi i primi assemblamenti. Si tratta di un gruppo abbastanza omogeneo, ragazzi in età scolastica, anziani con i nipoti, si intravede qualche faccia adulta. Sono le 10 quando il picco della protesta raggiunge il suo apice, un centinaio di persone inizia a scandire il tempo attraversando la strada ciclicamente ad ogni luce verde del semaforo, si urlano slogan contro la globalizzazione, si sventolano bandiere tricolore.

Da un megafono di produzione cinese una voce grida contro i passanti “Stiamo protestando per voi!”, “Scendete dalla macchina e unitevi alla protesta!”, una signora con un Suv blu viene presa di mira “Signò se non protesti vuol dire che c’hai i soldi!”. Dall’altra parte della strada vicino al Cinema Massimo va in scena il presidio delle forze dell’ordine, sono circa una cinquantina di agenti fra polizia e carabinieri, parlano fra di loro, ridono, infondo la manifestazione procede civilmente e nessuno sembra preoccupato.

Mi avvicino ad un vigile urbano e gli chiedo come stia andando, lui mi risponde un pò sconsolato chiedendomi: "Com’è la situazione nel resto d’Italia?". In effetti a Torino sembra che i manifestanti stiano bloccando le arterie ferroviarie e inizino i primi scontri di piazza, l’agente mi dice che anche loro sono dalla parte della protesta ma che si sarebbero aspettati piu partecipazione almeno a Pescara.

Mentre si avvicina l’ora di pranzo iniziano le prime defezioni. Il folto gruppo perde pezzi ad ogni tornata semaforica, quindi la manifestazione si ferma ad un angolo della strada mentre iniziano a passare i primi autobus gremiti di studenti. Lo zoccolo duro dei manifestanti li incita a scendere dal mezzo e ad unirsi alla lotta con successo pressappoco nullo. Forse i toni sono sbagliati o magari i giovanissimi che escono da scuola non sembrano interessati: la crisi la vedono come una cosa da grandi. In effetti la pecca sembra proprio essere l’organizzazione dell’evento. Si è detto a tutti di invadere la piazza, ma senza un punto di riferimento su cui sfogare la propria rabbia, casello autostradale o palazzo istituzionale che sia c’è la sensazione che manchi qualcosa.

Ore 14. Siamo rimasti in pochissimi, un ragazzo si avvicina e mi chiede di non fare foto e che se fossimo in tanti dice sarebbe stato ok, ma siamo pochi e noi pochi non vogliamo metterci la faccia. Anche lui è deluso. Magari i ragazzi, continua nel soliloquio, hanno ancora soldi per uscire la sera e comprasi un paio di scarpe, ma fra poco la situazione sarà diversa anche per loro e in piazza scenderanno a migliaia. Il richiamo della forchetta piu che quello del forcone sembra vincere qualsiasi lotta per i diritti, magari se ci fosse stata piu gente le cose sarebbero andate diversamente, di sicuro c’è bisogno di una rappresentanza, di un coordinatore che possa accendere gli animi e alimentare questo movimento poplare che mi è sembrato davvero pacifico e apartitico.

Inizia il vociare, squilla un telefonino, un ragazzo risponde alla madre e dice: “E' pronto? Mo torno”, si gira e “Raga forse torno dopo pranzo!”. Va bene. Ci vediamo dopo pranzo. Forse.

M.C.