L' Unione Europea e l' economia circolare

Entro il 5 luglio 2025 i paesi membri dell'UE dovranno avere raggiunto obiettivi in termini di riciclo e produzione del rifiuto rigorosi. Servira' una rivoluzione culturale per farcela

L' Unione Europea e l' economia circolare

L'UNIONE EUROPEA E L'ECONOMIA CIRCOLARE. Una volta tanto all’Unione Europea va il grande merito per aver emanato recentemente le direttive a tutela dell’ambiente. Infatti sono entrate in vigore il 4 luglio 2018, le direttive del “pacchetto economia circolare”, che dovranno essere recepite entro il 5 luglio 2020. Ma difficilmente il nostro  paese sarà in grado nei tempi stabiliti di mettersi in regola a causa del nostro sistematico ritardo ad adeguarci alle direttive UE. Basti pensare alle centinaia di multe comminateci per le infrazioni relative alle discariche abusive (Solo nel 2014  sono costate ben 204 milioni). S’impone quindi un netto cambiamento paradigmatico in materia di crescita economica basata finora su un’economia lineare di mercato. Lo schema attuale prevede nell’ordine: l’estrazione delle materie prime, la loro immissione nel ciclo produttivo, il consumo di massa dei prodotti e infine lo smaltimento degli scarti avanzati spesso nelle discariche abusive. Questo continuo processo, non contempla un riutilizzo dei rifiuti. Esso è non solo inefficiente e costoso, ma è anche una delle principali cause dell’inquinamento delle acque, della terra, dell’emissione dei gas serra e del conseguente sconvolgimento climatico. Dunque un modello di sviluppo alternativo a quello lineare ora s’impone: bisogna cioè valorizzare gli scarti dei consumi, estendere quanto più possibile il ciclo di vita dei prodotti, condividere le risorse, impiegare materie prime da riciclo e ricorrere alle fonti di energia rinnovabili. Ma non è sufficiente solo produrre i beni in modo diverso, è anche necessario un nuovo approccio culturale in materia di consumi, cioè, in breve, far sì che si arrivi ad un consumo responsabile. Si tratta quindi di orientare i cittadini su prodotti e servizi nel cui prezzo sono inclusi il rispetto delle condizioni lavorative e l’equo trattamento salariale del personale coinvolto nella produzione. Si tratta di rispettare inoltre la professionalità, la tradizione del territorio in cui si vive e di promuoverne la crescita. Questo modo nuovo di sperimentare il consumo, apparentemente comporta maggiori costi di produzione, ma in realtà esso implica un enorme risparmio per la  società nel suo insieme e per l’ ambientale. Si tratta in breve di orientarsi su comportamenti più sani e corretti, in grado cioè di migliorare la qualità della vita e delle condizioni ambientali del nostro pianeta e dei suoi abitanti. Per una crescita sostenibile è dunque necessario rivedere criticamente il nostro rapporto non solo con il consumo di cibo, ma anche con tutte le risorse di cui usufruiamo. In parole povere occorre una rivoluzione culturale a tutto campo che coinvolga i cittadini, il sistema economico/legislativo e infine l’intera classe dirigente. Ben vengano quindi le direttive dell’UE che prevedono, solo per citarne alcune, il riciclo entro il 2025 per almeno il 55% dei rifiuti urbani (60% entro il 2030 e 65% entro il 2035) lo smaltimento in discarica (fino ad un massimo del 10% entro il 2035). Il 65% degli imballaggi dovrà essere riciclato entro il 2025 e il 70% entro il 2030. I rifiuti tessili e i rifiuti pericolosi delle famiglie (come vernici, pesticidi, oli e solventi) dovranno essere raccolti separatamente dal 2025 e, sempre a partire dal 2025, i rifiuti biodegradabili dovranno essere obbligatoriamente raccolti separatamente o riciclati a casa attraverso il compostaggio. Per quel che riguarda la discarica, l’Ue limita la quota di rifiuti urbani da smaltire a un massimo del 10% entro il 2035.

Clemente Manzo