Il virus (Pdl) delle dimissioni

Mascia, Di Primio e Federico: tre sindaci abruzzesi che conoscono bene il motto dell'evergreen Ennio Flaiano

Il virus (Pdl) delle dimissioni

FLAIANO LA SAPEVA LUNGA. Il nostro conterraneo Ennio Flaiano, che come al solito la sapeva lunga, dice in un suo celebre aforisma che "Non bisogna mai minacciare le dimissioni in Italia, perchè qualcuno potrebbe accettarle". Mai come in questi giorni tale affermazione torna di straordinaria attualità: in Abruzzo, infatti, sembra essersi diffuso un vero e proprio virus da dimissioni. Vere o presunte. Ed è un virus che riguarda il Pdl. A Chieti il primo cittadino Umberto Di Primio, alle prese da qualche tempo con una maggioranza ballerina, ha fatto sapere di essere pronto a lasciare la propria poltrona per poi ricandidarsi alla guida di una sua personale lista civica, con tanti saluti al Popolo della Libertà e alla coalizione di centrodestra. Chi vivrà, vedrà. Le dimissioni più eclatanti, tuttavia, sono quelle sbandierate a mo' di spauracchio da Luigi Albore Mascia, sindaco di Pescara, che ha fissato un termine ultimo oltre il quale, se le cose non andranno come dice lui, rimetterà l'incarico.

IL GIORNO DEI GIORNI. Lunedì 8 ottobre, se la seduta del Consiglio Comunale salterà per mancanza del numero legale a causa dell'assenza dei consiglieri di maggioranza, Mascia farà "Ciao, ciao!" con la manina e sbatterà la porta in faccia a tutti. Ma sarà proprio così? Ai membri dell'opposizione non è sembrato vero di sentire un simile annuncio, e così tutti (Fli, Pd, Sel e Idv) hanno chiesto in blocco le effettive dimissioni di Luigi Albore, augurandosi che non si tratti solo di "una farsa". Ma cosa ha fatto infuriare il primo cittadino pescarese, così tanto da spingerlo a paventare l'estremo gesto? Semplice: l'ennesimo rinvio della seduta che doveva votare anche la delibera su Pescara Parcheggi, società attualmente in difficoltà. E così "prendo atto della mancanza di responsabilità di coloro che fanno parte della maggioranza - ha dichiarato Mascia - Io non punto il dito contro nessuno. Abbiamo però una maggioranza larga di 25 consiglieri e non è possibile che manchino i numeri in aula per due volte. Aspetto lunedì, e se le cose non cambiano andrò a dimettermi".

A SULMONA REGNA IL CAOS. Al di là dei proclami di sorta, chi finora si è realmente fatto da parte ed è in attesa di vagliare gli sviluppi è soltanto il sindaco di Sulmona, Fabio Federico. La sua giunta si è dimessa in blocco durante il consiglio comunale dove erano in gioco due delibere: la prima per l'aumento dell'Imu e la seconda per la stabilizzazione momentanea dei 70 lavoratori delle cooperative che gestiscono i servizi del Comune. Proprio a loro è andato il pensiero del sindaco partente, che si è detto "disposto a mettere le mie dimissioni sul tavolo pur di salvare queste famiglie". Ora sembra che Federico possa richiamare gli Udc Giuseppe Schiavo e Luigi Rapone per cercare di arrivare quantomeno alla fine della legislatura (si tornerà comunque al voto nel 2013), ma intanto il dado è tratto. E' pur vero che già nel 2010 il primo cittadino sulmonese si era reso protagonista di un gesto eclatante azzerando la propria giunta. Ma non è questo l'unico problema con il quale, in questi giorni, il capoluogo ovidiano deve fare i conti: la scorsa settimana, ad esempio, gli studenti del liceo classico Ovidio hanno tenuto una lezione particolare, sistemandosi davanti al portone della loro scuola e facendo, in autogestione, una lezione di latino. La singolare protesta è stata messa in atto contro l'immobilismo della politica, che da tre anni e mezzo ormai, subito dopo il terremoto del 6 aprile 2009, li tiene fuori dalla loro sede naturale di piazza XX settembre. L'edificio, infatti, è parzialmente inagibile. Se a questo sommiamo la chiusura del teatro Caniglia per lavori che durano ormai da più di un anno, lo stato moribondo (se non addirittura cadaverico) del Cinema Pacifico e dell'ospedale, più varie ed eventuali, ci rendiamo conto che in Valle Peligna non tira certo una bella aria. Lì però hanno avuto la decenza di dimettersi davvero. Non si sa per quanto, ma almeno l'hanno fatto.



Federico Di Sante