Editoria: il "caso" di Lilly Mandara accende riflettori sull'emergenza informazione

La giornalista è stata condannata a pene severissime per articoli ritenuti diffamatori da un tribunale. Il mestiere senza tutele va protetto in qualche modo: ecco come

Editoria: il "caso" di Lilly Mandara accende riflettori sull'emergenza informazione

IL CASO DI LILLY ACCENDE I RIFLETTORI SUI "NODI" IRRISOLTI NEL MESTIERE DI SCRIVERE. Il caso della giornalista Lilly Mandara condannata a risarcire in solido col Messaggero al pagamento della somma di 45mila euro per alcuni articoli ritenuti diffamatori da un tribunale abruzzese riaccende il problema dell'emergenza informazione in un paese, l'Italia, che è nel 2015 quasi 2016 ancora al 73esimo posto nel mondo nella classifica della libertà di stampa. La questione naturalmente è molto complessa, perchè tocca diversi espetti: da quello economico a quello giuridico, ai danni che si procurano nelle vite individuali e collettive, fino alle recenti sentenze della corte europea per i Diritti Umani. Per il reato di opinione, che trae origine dallo statuto albertino come lesione dell'onore e della reputazione dove il giornalista diffamante era costretto a sfidare al duello la persona offesa, si rischia il carcere benchè la fattispecie sia stata depenalizzata. Da allora le cose sono cambiate ma non troppo la sostanza ovvero se prima ti uccideva la spada oggi si colpisce il patrimonio per ridurre in povertà chi scrive per mestiere. Naturalmente nessuno pretende che i giornali siano perfetti ma esistono molti strumenti per evitare di scoraggiare il mestiere e scoraggiare pericolose derive autoritarie contro le parole contrarie. Le sentenze di condanna per i risarcimenti del danno, infatti, superano di gran lunga qualsiasi altro tipo di ristoro previsto dalla legge. Il mestiere di giornalista non gode di alcuna tutela se non quella finanziaria dell'editore. Ma l'editore chi è? L'editore non è sempre la Rai, Berlusconi, altagirone o la famiglia Agnelli. Spesso sono piccoli imprenditori, alcuni sono anche puri nel senso che esercitano il mestiere in via esclusiva, che operano nel non assolutamente ricco mercato dell'informazione. Tra l'altro il caso unico dell'Italia è che non esiste una polizza professionale da responsabilità civile, come è obbligatoria per tutti gli altri mestieri, nè un broker che assicuri editore e giornalista contro questo tipo di pericoli. Basti pensare che gli unici a quotare, con un premio da panico, sono i LLyods di Londra. Insomma, della questione emergenza informazione se ne potrebbe parlare ancora al lungo anche sottolineando i pericolosi condizionamenti che il giornalista subisce nel corso della sua esistenza: auto bruciate, minacce di morte (anche noi ne abbiamo ricevute), linciaggi mediatici organizzati da fazioni politiche organizzate, calunnie, vendette, intimidazioni e tutto quello che chiunque dotato di senso critico riconosce come oggettivo. Il caso dell'Abruzzo, che non è una regione dove i giornalisti vengo sparati per strada, è però emblematico. Al Fatto Quotidiano, giornale col quale il nostro direttore collabora, una delle prime firme descrive la nostra terra come una 'CalAfrica dell'Informazione' perchè qui, al di là di alcuni giornali indipendenti e liberi, nulla viene scritto o detto. Soprattutto i politici non sono abituati a sentirsi porgere delle domande come avviene, invece, ovunque nel mondo. Ma le ragioni perchè ciò accade non sono la vigliaccheria o a la mancanza di coraggio bensì le ragioni precedentemente argomentate. Tanto è vero poi che il sogno di ogni giornalista abruzzese, tranne il nostro ovviamente, è quello di diventre l'ufficio stampa o fare copia e incolla per il potente di turno. Noi di AbruzzoIndependent.it, per bocca del nostro direttore Marco Manzo, abbiamo più volte denunciato (come prova i nostri articoli) questa situazione ed abbiamo individuato anche la strada per restituire dignità a questo mestiere che è stato spento dai poteri forti per ragioni note a tutti (il processo alla stampa alla Leopolda è il climax di tutto ciò ma vorremmo che una lista dei peggiori giornali abruzzesi stilata dai nostri cosiddetti "sempre all'altezza della situazione" vennisse fatta, fatela!). Le soluzioni ci sono. Una su tutte: destinare una quota percentuale di ogni avviso, appalto, incarico pubblico ai mezzi di informazione locali secondo criteri di rotazione e territorialità. Solo così il cittadino potrà conoscere molti perchè, moltissimi percome. Soltanto in questo modo moltissimi precari potranno trovare lavoro nella stampa senza dover per forza ricorrere alla raccomandazione di turno, altra grande piaga di questo e quell'altro mondo. Ci fermiamo qui per ora, augurandoci di non vedere ancora una volta un giornalista mendicare denaro in pubblico per ristorare i danni da diffamazione (che è sempre un'opinione, ricordiamolo) provocati a qualcuno. Troppe volte è già successo ed è meglio andare in carcere che chiedere aiuto al prossimo. Massima solidarietà a Lilly Mandara, come lei e nella sua stessa situazione ce ne sono moltissimi ancora. Il presidente dell'Ordine dei Giornalisti Abruzzesi e quello del Sindacato della Stampa dovrebbero, a nostro avviso, iniziare lo sciopero della fame finchè non verranno introdotte misure a tutela della dignità di questo mestiere.

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